Zio Lisippo

Lisippo Rossi è una figura abbastanza mitologica nella tradizione della mia famiglia: donnaiolo e spregiudicato, forse fuggito per una bancarotta, si presentò al matrimonio della figlia (lasciata in un collegio a Casablanca al tempo della bancarotta ) su una Cadillac rosa insieme al figlio e a due biondissime e appariscenti "donne di facili costumi"; non so quanto ci sia di vero e quanto di "ricamato" in queste storie, di sicuro tutti i fratelli Rossi avevano successo con le donne, ma  l'immagine dei due fratelli maggiori Cornelio e Orfeo è sicuramente più seria e responsabile.
Di questo Lisippo, dal nome così decadente, ho questa foto per potermelo immaginare, dargli una voce, pensarlo vivo nel mondo: in una terrazza soleggiata che non riconosco, con mia nonna che sorride per una battuta che è ancora nell'aria, Lisippo, raffinato ed elegantissimo, al tempo stesso rilassato e quasi sfrontato, guarda diritto in camera con uno sguardo profondo e indecifrabile.


Questo ritratto dai contorni fumosi si arricchisce oggi di un nuovo tassello, che riappare dopo oltre un secolo di oblio, e si inserisce nel lacunoso mosaico di questo lontano prozio.


Nella motivazione della medaglia si legge:
"ROSSI Lisippo, da San Miniato (Firenze), sottotenente 141 reggimento fanteria (M.M) - Assunto il comando di una compagnia perché caduto ferito il comandante titolare, dando mirabile esempio di coraggio e di energia sotto il violento fuoco nemico di mitragliatrici e di artiglieria, raggiunse fra i primi la posizione avversaria, contribuendo efficacemente alla buona riuscita dell'azione.- Carso, 22 agosto 1917".

Da qua parte la mia ricerca tra le lettere del bisnonno per dare spessore e posizionare in un contesto questo nuovo frammento.

Nel marzo del 1916 Lisippo è ancora nella territoriale a Pisa, al sicuro; dal 1917 il suo nome compare più spesso nelle lettere, Cornelio chiede spesso dove si trovi, se sia al sicuro o in prima linea. Il 1917 è d'altronde l'anno che il bisnonno passa quasi interamente lontano dalla prima linea, ed è anche l'anno più difficile della guerra in cui la preoccupazione per la sorte dei fratelli al fronte è costante.
A maggio Lisippo è nel 142° reggimento (Brigata Catanzaro) e gli scrive il 31 maggio da Perteole che "si meraviglia di essere ancora vivo, si vede che noi abbiamo qualche Santo dalla nostra o meglio che sono accette a Dio le preghiere dei nostri poveri morti, che non si dimenticheranno mai di chiedere la nostra salvezza". La Brigata Catanzaro è da gennaio sul Carso nel settore di Hudi Log, una collina oggi situato in Slovenia, conosciuto in italiano col nome tristemente evocativo di Boscomalo. I soldati vivono per mesi sotto i bombardamenti nemici, conquistando ogni metro di terreno alla baionetta e subiscono moltissime perdite. A giugno vengono spostati di fronte all'Hermada e anche qua la vita è durissima.
A causa delle perdite rilevanti, ai primi di luglio la Brigata viene mandata a riposo a Santa Maria La Longa, ma il 15 luglio torna l'ordine di tornare al fronte. La disperazione, l'insofferenza è tale che i soldati si ribellano, sparano contro gli ufficiali, ma la rivolta viene sedata duramente e 28 soldati sono condannati alla fucilazione sommaria.

Non c'è memoria di questi accadimenti nelle lettere del bisnonno (e d'altra parte è comprensibile che se anche avesse saputo la notizia, non ne parlasse a casa per non mettere in ansia i familiari), così come non si fa menzione medaglia.
Nei riassunti storici della Brigata Catanzaro, tra gli ufficiali caduti compare il Tenente Taliano Taliani, di Lari, morto per ferite sul Carso proprio quel 22 agosto 1917 in cui Lisippo si guadagna la sua medaglia.
Siamo durante l'XI battaglia sull'Isonzo, alla Catanzaro viene affidato il compito di arrivare a Timavo e San Giovanni di Duino per cercare di aggirare quel monte Hermada che blocca la strada per Trieste e che è costato già tante vite umane.


Servono immagini per poter ricostruire nella mente voci, odori, sensazioni.


I Fanti della 'Catanzaro' nell'Hermada (oggi monte Querceto, a est di Monfalcone)


In questa foto, di parte austriaca e di qualche mese precedente, conservata al Museo del Risorgimento di Bologna, si avverte il respiro affannoso del soldato in primo piano, lucido di sudore, fermo per un istante diventato eterno in attesa degli ordini che stanno per arrivare, solleva verso la macchina fotografica uno sguardo in cui si legge solo una stanchezza infinita, un profondissimo desiderio di pace e riposo.

La battaglia è durissima, l'attesa degli attacchi snervante, la sete fa delirare, e gli attacchi sono carneficine che lasciano sul terreno morti e feriti che nessuno può soccorrere.
Dopo cinque giorni di combattimenti, il tenente Taliani viene colpito: ha tre anni meno di Lisippo ed è toscano come lui, come lui è cresciuto tra le dolci colline del Valdarno; saranno stati amici? Avranno condiviso una sigaretta e una chiacchiera in un momento di riposo prima della battaglia? Lisippo avrà visto un triste presagio in quella ennesima vita sprecata tra quelle terre sconosciute? Avrà voluto dare un significato a quell'ennesimo sacrificio, perché non fosse anch'esso inutile?
Perché cedere alla paura e alla disperazione, come avevano ceduto i suoi compagni solo poche settimane prima, non significava certo essere codardi o traditori, perché queste accuse possono farle solo chi non conosce la guerra, quella guerra, ma voleva dire che tutti i morti, i feriti, il dolore e la sofferenza già passati erano stati inutili, significava che le loro vite erano solo numeri su un foglio, i reggimenti solo punti su una cartina. Andare avanti era necessario per dare un senso a tutta quella devastazione, che altrimenti avrebbe solo finito per annullarli, anche come uomini.
Lisippo prende l'iniziativa, esorta i suoi compagni a non cedere, a proseguire con coraggio e determinazione per conquistare quell'ennesima posizione, ignorando i proiettili, strisciando come topi, diventando tutt'uno con quel deserto di roccia e sterpi assolato; quando c'è tanta morte intorno, la paura acquista un corpo, una consistenza densa e soffocante come l'afa che respiri, esce da te e diventa - forse - più facile da ignorare.

La posizione è conquistata, Taliano non è morto invano, almeno per oggi.

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